Cristina Mastronicola “Quanti passi avanti in questi anni”

Non solo il Centro di terapia antalgica di Castelfranco Emilia ha ottenuto la qualifica di hub regionale, come riconoscimento del valore del lavoro svolto in questi anni, ma anche la sua coordinatrice, la dottoressa Cristina Mastronicola, è ora la responsabile dell’hub regionale della Terapia del dolore di Castelfranco Emilia. L’abbiamo incontrata per fare il punto della situazione, anche alla luce delle ultime novità.

La ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato e la chiarezza delle spiegazioni in una materia non sempre conosciuta al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Per aiutare nella lettura dell’intervista ricordiamo che il modello sanitario di organizzazione per hub e spoke (mozzo e raggi) prevede la concentrazione dell’assistenza di maggiore complessità in “centri di eccellenza” (hub) e l’organizzazione dell’invio a questi “hub” da parte dei centri periferici (spoke) dei malati che superano la soglia di complessità degli interventi effettuabili a livello periferico.

Quest’anno cade il decennale della legge 38. Cosa è cambiato all’interno delle strutture sanitarie?

Sicuramente siamo in presenza di una maggior presa di coscienza da parte dei cittadini sul tema della cura del dolore grazie alla consapevolezza delle Direzioni sanitarie.

Pensa vi sia ancora la necessità di attivare momenti di sensibilizzazione per far conoscere la terapia antalgica?

Certamente. Occorrono momenti di sensibilizzazione dei cittadini, dei medici e quindi di tutti gli specialisti. In fondo siamo soltanto agli inizi.

Siamo agli inizi anche se sono passati dieci anni dall’emanazione della legge? Perché?

Per diverse ragioni. C’è un problema di logistica. C’è una difficoltà a trovare medici anestesisti. C’è una difficoltà nella organizzazione di vari nodi delle reti provinciali che poi devono essere integrate con la rete regionale. E ogni territorio nel tempo ha creato assetti diversi, alcuni nati per buon senso, altri nati per una spinta di tipo organizzativo. Siamo ancora in quella fase dove è necessario istituire un progetto comune che poi possa, a sua volta, essere integrato a livello regionale.

Eppure a Modena sono arrivati riconoscimenti…

Noi a Modena siamo la realtà più avanzata a livello regionale e forse anche a livello nazionale. Abbiamo fatto un percorso peculiare. Abbiamo prima fatto un discorso di condivisione con le altre realtà cittadine, con gli spoke per intenderci e con gli ambulatori. Questo ha definito il nostro tipo di organizzazione, quello dell’hub. Al contrario di altre realtà dove l’hub è stato creato senza una relazione con il territorio. E’ questo è sicuramente un pregio modenese, le cui radici affondano lontano. Quando arrivai a Modena dal bolognese rimasi sorpresa: l’assistenza domiciliare non assisteva in maniera differente i malati oncologici e quelli affetti da patologia dolorosa cronica, ma accettava tutti i cittadini che avevano bisogno di una assistenza sul territorio. Senza il territorio l’hub diventa un “impiantificio” fine a se stesso, ma la sua funzione di coordinamento, di condivisione e di crescita svanisce.

Ritiene che tra i cittadini si sia modificata la concezione del dolore e della sofferenza come componenti ineludibili della malattia o invece pensa che vi sia ancora la necessità di campagne di informazione?

La campagna di informazione è sempre importante, anche se oggi, rispetto al passato, è sempre più diffusa la consapevolezza che la sofferenza non debba essere necessariamente elemento di accompagnamento al resto della vita o al residuo di vita.

Cosa significa in concreto per i cittadini il riconoscimento di hub ottenuto dal Centro di Terapia Antalgica di Castelfranco?

L’hub a Castelfranco significa che abbiamo la possibilità di offrire ai cittadini tutto quello che la scienza mette attualmente a disposizione sia come trattamenti di natura farmacologica sia come trattamenti invasivi per la gestione del dolore. Abbiamo inoltre la possibilità di avere integrazioni con altre realtà che hanno competenze più specifiche, avviando i cittadini nei percorsi che si ritengono per loro più idonei.

Questo perché vi viene riconosciuto un ruolo specifico?

Abbiamo un ruolo specifico, ma l’hub è anche un centro di coordinamento, non soltanto della singola specialistica, ma in senso più ampio. Si creano percorsi su misura dei cittadini. Non chiediamo le consulenze, siamo noi che inoltriamo il paziente ai diversi consulenti. Significa che abbiamo come rimando una risposta specifica a una nostra richiesta. Le consulenze in un paziente non preso in carico spesso sono fini a se stesse. E’ un aspetto molto importante. Noi già lavoriamo con continuità con altri specialisti: abbiamo un ambulatorio, due volte al mese, con gli psicologi e, una volta al mese, con i fisiatri. Inoltre possiamo condividere percorsi, non a cadenza definita, con tutti gli altri specialisti di cui c’è necessità.

Parliamo della formazione. Il personale preposto, medico ed infermieristico è già adeguato ai nuovi compiti e, più in generale, percorsi formativi potrebbero essere utili per rinsaldare la rete della terapia del dolore sul territorio provinciale?

Il tema può essere affrontato a diversi livelli. Se parliamo del personale dell’hub abbiamo necessità di una parte amministrativa e dell’istituzione di un ruolo come dirigenza infermieristica. Poi si apre un’altra necessità, quella di condividere percorsi con gli altri nodi della rete; con i medici di medicina generale, con i quali faremo a breve incontri formativi su argomenti specifici, e con i colleghi anestesisti degli spoke per condividere modalità comuni per la presa in carico e gestione del paziente.

Come è strutturata l’attuale rete della terapia del dolore in provincia di Modena?

Io non ho visto da altre parti una articolazione della rete come quella che abbiamo strutturato nel modenese. La rete è composta dai medici di medicina generale come primo livello, dagli spoke divisi per area (Mirandola per l’Area Nord, Pavullo per l’Area Sud e per l’Area Centro lo spoke del Policlinico, con la mission orientata verso il pediatrico), poi abbiamo l’hub di Castelfranco che lavora su due realtà, Baggiovara come procedure chirurgiche e Castelfranco come ambito territoriale. A ciò si aggiungono ambulatori presso l’ospedale di Sassuolo e di Baggiovara per pazienti interni, ricoverati in ospedale. 

Ma il cittadino deve sempre far riferimento al proprio medico di famiglia o può andare direttamente nei centri della rete?

Il medico di medicina generale è il referente sanitario del cittadino. Ed è lui che sa se la situazione può essere gestita in autonomia presso il suo ambulatorio o se necessita il supporto specialistico.

Com’è il rapporto con i medici di medicina generale? In passato c’erano state criticità, ma ora possiamo dire che è decisamente migliorato?

Credo che il problema in passato fosse che la rete non era stata adeguatamente presentata ai medici di medicina generale. Anche negli ultimi incontri abbiamo trovato molto apprezzamento e disponibilità a conoscere i servizi che possiamo offrire. Sanno che qualora avessero problemi legati a situazioni complesse hanno sempre la possibilità di consultarci telefonicamente. Inoltre ci stiamo affinando: a breve, arriveranno dalla nostra Regione indicazioni sui trattamenti farmacologici e sulle procedure chirurgiche. Nessuna Regione ha ancora fatto questo. Ci abbiamo lavorato negli ultimi tre anni.

Usando un linguaggio non specialistico, possiamo dire che il dolore cronico delle persone sembra abbracciare due ambiti, quello fisico e quello psicologico?

L’idea che il dolore sia diviso tra quello psichico e quello fisico è sbagliata. Il dolore è unico. Poi può avere delle caratteristiche dominanti dal punto di vista dell’elaborazione psicologica, ma la sintomatologia dolorosa noi la caratterizziamo come unica. Il dolore fisico di per sé ha comunque un impatto sulla psiche. Non sono scindibili. Nel nostro gruppo, ormai da una quindicina d’anni, lavoriamo costantemente con gli psicologi, c’è una continuità di relazione. E sono preziosissimi. Ci permettono di capire la personalità del paziente, quanto e come accetterà le nostre proposte terapeutiche, e quali sono le leve con le quali poterlo supportare. Il trattamento va adeguato alla specifica personalità del malato.

L’associazione C.I.D – Curare il dolore promuove, per fine maggio, il convegno “Prendersi cura del dolore – la rete dei servizi contro il dolore della provincia di Modena”. Quale pensa debba essere il primo obiettivo che questo convegno dovrebbe raggiungere?

Mi aspetto che si definisca in maniera più incisiva ed articolata la rete di terapia del dolore. Noi abbiamo disegnato questo percorso, ma a livello locale deve essere maggiormente attuato ed integrato con le altre reti, con la rete oncologica, la rete della palliazione, con la rete della fisiatria. Sono tante le questioni che dobbiamo approfondire.

In chiusura di questa intervista, parliamo di cosa ci ha insegnato l’emergenza coronavirus anche per il nostro ambito.

Il coronavirus è un’emergenza sanitaria acuta, noi ci occupiamo di patologie dolorose croniche. Pur nella diversità delle situazioni, quello che ci ha insegnato, dal punto di vista organizzativo, è l’aver ridato centralità al medico di medicina generale, nella selezione, nella gestione, nella presa in carico del malato e nel farsi voce verso altri professionisti.

Se guardiamo al domani della Casa della salute di Castelfranco Emilia? E’ partito un ragionamento, per ora è proprio solo questo, per creare su Castelfranco un polo di presa in carico dei pazienti terminali, con un occhio di riguardo verso il dolore. Oggi qui ci sono l’Hospice, l’Osco, l’Rsa e l’hub di terapia antalgica. Si chiude un cerchio. Questa è l’unica Casa della Salute che ha l’Hospice e l’hub di Terapia del dolore. Non ne esiste un’altra. Auspico quindi che questa stretta collaborazione porti a nuovi traguardi. Mi piacerebbe molto che Castelfranco fosse un polo dove si pone particolare attenzione verso il dolore, di qualsiasi natura esso sia.

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